La costruzione dell’Unione Europea (iniziata con lungimiranza con i trattati di Roma del lontano 1957) si è sviluppata nel corso degli anni tra alti e bassi, oscillando tra le posizioni di chi si accontentava di un mercato unico allargato e chi desiderava invece un’Europa politicamente unificata.
In ogni caso quando si posero i primi problemi di un allargamento, era per tutti chiaro che si dovessero accettare solo Paesi in cui fosse presente lo stato di diritto e gli strumenti per la realizzazione di una democrazia compiuta.
Per questo furono accolti (pur con difficoltà e problemi di altra natura) paesi come Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca mentre per Grecia, Portogallo e Spagna fu necessario aspettare la fine dei regimi autoritari che li governavano.
In questa settimana è successo che, per il veto di Ungheria e Polonia, non è stato possibile approvare il bilancio europeo il che farà slittare anche i previsti interventi per l’emergenza economica. Tale veto è stato motivato dall’orientamento assunto dall’Unione Europea di condizionare i contributi europei al rispetto dello stato di diritto.
I due Paesi sono stati travolti dalle critiche, accusati di populismo, addirittura di essere rimasti alle logiche dei tempi dell’influenza sovietica.
Occorre tuttavia notare che il richiamo allo Stato di diritto assume oggi un significato molto diverso da quello che aveva quando ci furono i primi allargamenti. Il concetto era a quel tempo facilmente condiviso poiché i riferimenti alla Dichiarazione Universale dei Diritti umani, approvata dall’Assemblea delle Nazioni unite nel 1948, erano praticamente condivisi da tutti: quel testo era nato dal paziente confronto tra visioni diverse capaci di trovare un accordo che portò il documento ad essere approvato all’unanimità. Questi principi, accolti in modo diverso anche nelle costituzioni nazionali dell’epoca, costituivano un buon criterio anche per l’adesione alla comunità europea.
La situazione è oggi molto cambiata: quello che l’Unione Europea chiama oggi stato di diritto è qualcosa di diverso e che paga il prezzo al mutato clima culturale, al venir meno di una condivisione storica di principi e valori, ed è sempre più sottoposto al ricatto, non sempre dolce, della lotta per i diritti individuali sostenuti anche da diversi e importanti gruppi di pressione.
I rischi di questo cambiamento sono evidenti: un allarme è stato lanciato dai giuristi del Centro Studi intitolato al giudice Rosario Livatino. Scrivono infatti quegli esperti : “Con la comunicazione n. 698 del 12 Novembre 2020, la Commissione UE ha definito una serie di strategie volte a implementare l’ideologia LGBTQI (acronimo che raccoglie Lesbiche, Gay, transessuali etc.) negli ordinamenti giuridici dell’Unione e degli Stati membri: esse comprendono l’iniziativa per introdurre un reato di omofobia a livello europeo, il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri della omogenitorialità e dei matrimoni omosessuali, l’assegnazione di finanziamenti specifici per le iniziative LGBTQI”. Tali posizioni, continua il Centro, dovranno essere inserite in tutte le politiche di finanziamento dell’UE, compreso il Recovery Fund, previsto per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
Si tratta di una forzatura inaccettabile perché non prevista dai trattati sottoscritti dai Paesi membri. La sussidiarietà, che è la logica che sorregge – o almeno dovrebbe sorreggere – le politiche europee, implica il rispetto della storia e della cultura delle singole nazioni alle quali non possono esser imposti vincoli non accettati dai propri parlamenti nazionali.
È una logica che troviamo sempre più presente nelle grandi organizzazioni internazionali attraverso le quali si cerca di far passare o imporre una cultura propria delle élite che queste organizzazione governano o influenzano. Ne è un chiaro esempio quello di agenzie ONU che condizionano aiuti ai Paesi africani all’introduzione di pratiche contraccettive o abortive. Come ha detto Papa Francesco parlando di gender con don Epicoco : «Sta diventando un’imposizione culturale che più che nascere dal basso è imposta dall’alto da alcuni Stati stessi come unica strada culturale possibile a cui adeguarsi».
Prima di scandalizzarsi per il veto dei due Paesi dovremmo chiederci chi ha dato alla Commissione il potere di imporre una visione del mondo che si scontra con la storia e la cultura dei popoli europei, cultura e storia che evidentemente danno fastidio a chi vorrebbe esercitare un potere senza controlli democratici né vincoli etici.
Vedeva in anticipo il rischio di colonizzazione ideologica in agguato la giurista di Harvard Mary Ann Glendon (che è stata anche ambasciatrice USA presso la Santa Sede) che, in un intervento pubblicato nel volume “Il traffico dei diritti insaziabili” già nel 2007 poteva scrivere: «Il sogno dei diritti dell’uomo universali, realizzato grazie al sangue dei martiri della libertà, rischia di dissolversi in frammenti di diritti di autonomia personale. Non sembra fantasioso immaginare che nuove libertà sessuali potrebbero un giorno diventare premi di consolazione per la perdita delle libertà politiche e civili e per la negazione della giustizia economia e sociale».
I nuovi diritti quindi, come grande parco dei divertimenti per popoli privati della loro più profonda dignità! Come aveva intuito e visto il poeta premio Nobel Milosz:
“Si è riusciti a far capire all’uomo
che se vive, è solo per grazia dei potenti.
Pensi dunque a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle.
Chi ama la Res publica avrà la mano mozzata.
La recente enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”, e la ricchezza complessiva dell’insegnamento sociale della Chiesa sono strumenti a disposizione dei cristiani e degli uomini di buona volontà per affrontare le sfide della contemporaneità.
“Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità e si realizza nella carità”. (card. Ratzinger 2005)
È da questa “altra misura” che può venire il rinnovamento dell’Europa.